Anteprima non editata |
Fin da bambina era evidente ai miei occhi come il mondo intorno a noi non potesse essere totalmente compreso dai nostri cinque
sensi, che di fatto, come anche la scienza afferma, sono limitati.
Con l’ingenuità di una ragazzina, cercavo l’idea della magia e del fantastico ovunque e mi tormentavo ogni volta che qualcuno mi
sviliva, alimentando in me un grande senso di frustrazione.
Sempre che non si passasse direttamente alle discriminazioni.
Ogni volta che si entra nell’ambito del sovrannaturale la maggior parte delle persone è abituata ad alzare consistenti barriere, per
difendersi dall’ignoto. Nominare un concetto, un oggetto, un’azione o una parola dovrebbe essere concepito come un modo
convenzionale che permette alle persone di poter comunicare e capirsi, ma poi bisognerebbe andare oltre e considerare le parole
come delle semplici etichette. Dando il nome a qualcosa lo separiamo dal resto, creiamo divisione, frammentiamo la realtà,
innalziamo barriere invalicabili ed erigiamo muri. Il mondo in cui viviamo si basa, invece, proprio sul concetto di unità. Tutto ciò
che esiste è uno, il creato racchiude ogni cosa, è ogni cosa. Ogni singola scheggia di esistenza non è altro che un frammento di
quell’uno e ne è, al tempo stesso, sua rappresentazione e derivazione. Il mondo che pensiamo di conoscere non è nient’altro che una realtà olografica. Un’immagine che racchiude il tutto. Ogni emanazione è parte del tutto e ne condivide l’essenza.
Se ci spaventa pensare al sovrannaturale dovremmo riflettere sul fatto che tutto ciò che per noi è naturale viene percepito grazie ai
nostri sensi e che questi sono limitati, inadeguati se vogliamo, non ci permettono di captare razionalmente la totalità della realtà.
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